Incongruenze

Tanto quel vestito l’aveva già visto più volte. Anzi, lei si vergognava di sembrare una che si mette sempre le stesse cose. Così per tutto il giorno non si era fatta vedere. Perché lui aveva detto che occhio non vede…

Ma per lei era il contrario. Il non vederlo la faceva star male. Non meglio. Mai.

Ogni giorno,Elena si diceva che tutto quel dolore non serviva a niente. Che la loro storia non avrebbe portato a nulla. Che non c’era futuro, perciò era inutile violentare il presente.

Allora pensava di riuscire ad ignorarlo, pur vedendolo cinque giorni su sette. Voleva tentare di far scemare tutto così, senza dire o fare nulla, come tante altre volte le era accaduto in passato. Sapete, quei finti amori adolescenziali che quando ci ripensi da grande non ti ricordi perché, quando né come siano finiti. Ecco, questo stava cercando di mettere in atto.

Le dava forza il fatto che lui non l’avrebbe più cercata, se non l’avesse fatto lei. Era abbastanza maturo da capire che non ne valesse la pena. Lui l’accusava spesso di egoismo, lei di mancanza di vero desiderio nei suoi confronti. Aveva cercato sempre uno scampolo di tempo, spazio e vita solo per loro due, ma a lui niente andava bene, ed Elena non sempre capiva il perché. Credeva che lui pensasse che se non potevano aversi completamente…era meglio non aversi per niente. E a lei non piaceva baciarlo distrattamente nei luoghi meno sicuri. A lui invece piaceva eccome.

Per questo, e per altri mille fottuti motivi, bisognava mettere un punto. Senza andare accapo.

Tenersi per loro questa passione inesprimibile, quest’attrazione forte, quest’incontenibile voglia di spogliarsi, fuori e dentro.

Rimase per sempre, in lei, quella serie di puntini di sospensione, che accompagnarono la sua vita, unendo indissolubilmente realtà e fantasia.

Non sei mai solo

Oggi, per la prima volta non mi sono sentita diversa dagli altri, o almeno non da tutti.

Treno. Una coppia abbastanza giovane parlava della figlia e delle difficoltà nell’organizzazione quotidiana, soprattutto perché nessuno dei due guidava. Ho sicuramente assunto un’espressione sorpresa. Non è che si conoscano tutti i giorni persone che, come te, non guidano. Ovviamente, rispetto a me i ragazzi avevano delle attenuanti. Lei era Ecuadoriana e a casa sua la patente ce l’aveva, ma in Italia era carta straccia. Lui guidava la moto, ma dopo un incidente non l’aveva presa più e per la patente B stava provando a fare delle guide, senza troppo rendimento. Lei lo confortava dicendogli che sapeva guidare, ma secondo me lo faceva per evitare di doverlo fare lei. Sempre più stupita, annuivo compiaciuta e soltanto il sonno di quel mattino mi impediva di intromettermi nel discorso, tanta era la voglia di dire “Anch’io,anch’io! Sono come voi!”.

Ma non credetti alle mie orecchie quando la signora accanto al ragazzo disse “Io non ho mai più guidato, dopo che quello scemo di mio marito mi ha massacrata di parolacce e bestemmie per una manovra azzardata”. Lei aveva paura. Paura, proprio come me! Per la prima volta sentivo dire quella parola! Perché oggi sono tutti ottimi guidatori, eccelsi cuochi, grandi fotografi e sentir riconoscere da qualcuno un proprio limite a me ormai sembra roba rara, davvero.

Mi stavo commuovendo.

Il simpatico raduno di sfigati chiuse le danze con un’affermazione memorabile. Lui, incrociando le mani sulle gambe, guardando in basso, ad un tratto alza la testa e sentenzia: “Io vi dico solo una cosa:aspetto con ansia il giorno in cui tutte le macchine spariranno per sempre”.

La giornata non poteva iniziare in modo migliore. Tutto era più chiaro e limpido.

Io non ero sola. E non era un caso che mi fossi seduta lì. Proprio lì.