– Oh ciao. Vi hanno massacrato, oggi?
– Ciao. No, tutto a posto, poi io sono d’accordo con loro. Facciamo schifo
– Eh, lo so. Come stai?
– Bene, va
– A parte il fatto che stai ingrassando a vista d’occhio
– Sì, è vero. Mangio mezzo chilo di pasta ogni sera, forse esagero
– Eh sì
– Da domani dieta
– Seh vabbè. Ma invece per la partita ti sei informato? O non vuoi più andare?
– No, adesso è impossibile, bisogna vedere dieci giorni prima. Oh, scusa, mi chiama il capo
– Vai, vai. Sono abituata
– No, tu parla, ti sento
– Mi senti ma non mi ascolti
– Ti ascolto pure.
– Veramente ti devo parlare? No perché se comincio non so se ce la fai a sostenere la conversazione
– Ti ho detto parla, vai
– Ok, volevo dirti che sono stanca. Che voglio sapere perché non vuoi ritornare ai tempi non sospetti, a quando tutto era così spontaneo, ai nostri baci, a quello che volevamo fare insieme. Insomma, perché?
– Siamo andati allo stadio, non ti basta?
– Quindi quello era il contentino? Allora non ti va più di fare niente, con me?
– No
– Ahhh finalmente te lo sento dire
– Eh, visto?
– Ma quindi a te non manca nulla? Cioè non ti piaceva, prima? Perché non ti va più?
– Perché no
– Perché, però?
– Perché sono impegnato e non è giusto
– E’ una scusa, non ti piaccio più
– Pensa quello che te pare
– Quindi cosa sono per te?
– Ehh, un’amica
– Un’amica, eh? Io di amici ne ho già abbastanza, non me ne serve un altro. Io ti provoco angoscia?
– No
– Ah vabbè, è già qualcosa. E dammi un bacio. Uno solo, l’ultimo
– Eh no, dai, togliti
– Un abbraccio, almeno. Ti faccio così schifo?
– Eccolo l’abbraccio
– Sì, grazie
– Una cosa giusta l’hai detta, stasera
– Che?
– Che sono ingrassato. Sei stata sincera
– Io sono sempre sincera, con te
– E che dice Psycho?
– Beh, che sei uno stronzo (bugia). Quando le confesso che mi sento ridicola a starti ancora dietro dice che sono normale, perché vivo di emozioni e dato che tu me ne hai date tante ti cerco ancora
– Che cazzo di consigli ti dà?
– Non mi dà consigli, infatti. Non si prende queste responsabilità. Lei mi aiuta ad accettarmi, a perdonarmi.
– Ciao
– Adesso però cancella il mio numero
– E che mo decidi tu quello che devo fa?
– Va bene. Allora se vuoi farmi un favore non scrivermi più. Capito? Se vuoi farmi un favore
– Me lo devi chiedere per piacere
– Per piacere, non scrivermi mai più
– Va bene
Sul treno, penso a quanto sia diverso il punto di vista a seconda di dove ti siedi.
Nel senso di marcia vedi che tutto fuori si avvicina, lo superi e vai avanti. Fai appena in tempo a distinguere ciò che ti lasci dietro le spalle. Se invece ti siedi al contrario vedi che tutto si allontana ed assapori il fatto che piano piano ogni cosa diventi più piccola. Ma stai andando avanti lo stesso.
Sono nel senso opposto. Vedo il palazzo della stazione, quello a vetri che avevo fotografato tante volte, col riflesso delle nuvole rosa. Vedo tutto scorrere via, sparire e penso di poter dimenticare. Le baracche, i palazzi sporchi, le strade piene. Lui. Accetto, forse per la prima volta, di guardare in faccia il mio nemico: il ricordo che a questo punto deve restare tale.
Di fianco al binario, l’ultimo segnale chilometrico, il 24.
Il mio numero.
Chiudo gli occhi.
Punto.